Poesie Senigalliesi » Blog Archive » Vorrei tanto (lettera ad A. Schopenhauer)
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Vorrei tanto che questo Natale spezzato ridonasse
l’abbraccio di quanti la Vita mi ha tolto,

vorrei tanto che questo gelo spietato sublimasse
nel calore – fatuo – degli affetti perduti.

Ma se vivo e rinasco ognora
è perché

ogni perdita è l’illusione
che guadagna la certezza del mio Essere,

ogni morte del Desiderio
è il rinascere nella forza della mia Volontà.

Giuseppe Bottazzi

5 Responses to “Vorrei tanto (lettera ad A. Schopenhauer)”

    gentile Bottazzi,
    al di là del nom-de-plume guareschiano vedo che per il contenuto dei tuoi componimenti prediligi riferirti a pensatori tedeschi di un certo calibro (mi riferisco alle ultime 2 poesie).
    Mi pare di capire che hai una certa dimestichezza con letteratura e scienze umanistiche dalla complessità del tuo vocabolario, dico bene? Sei forse un insegnante di italiano?

    Ti ringrazio molto per le tue parole di apprezzamento per quanto scrivo, ma credo che né la professione né gli studi fatti possano fare il poeta, il letterato o il filosofo.

    Basti pensare a Baruch Spinoza, uno dei più geniali filosofi moderni, di professione ottico; oppure a Salvatore Quasimodo, che aveva studiato all’istituto tecnico industriale e poi – senza laurearsi – alla facoltà di ingegneria, lavorando anche come commesso in una ferramenta; a Montale, semplice ragioniere, che tra i tanti mestieri giovanili fece l’impiegato in banca; a Guido Gozzano, laureato in Giurisprudenza.

    Senza parlare poi di alcuni grandi filosofi contemporanei, che si avvicinarono alle discipline umanistiche partendo da studi tecnici e scientifici: L. Wittengstein (ingegnere), A. N. Whitehead (matematico), K. Jaspers (medico), e molti altri ancora…

    Rimanendo invece alle Marche d’oggi, mi viene in mente un articolo letto su V.S. qualche tempo fa, in cui si parlava di una giovane poetessa dell’anconetano (economista di formazione e di professione), vincitrice di concorsi letterari, che presentava il suo ultimo libro.

    Mario Luzi, lui sì, insegnò Lettere al liceo, ma di certo le poesie doveva meditarle e scriverle quando non era impegnato col lavoro.

    Personalmente, sono perciò convinto che l’unica vera “formazione umanistica” sia la precarietà del quotidiano, in cui si consuma dolorosamente la nostra umiliazione di esseri umani: è da questa condizione alienata (che accomuna spazzini e docenti universitari) che nasce in noi quel bisogno radicale di Umanità, che solo la Poesia ed il Pensiero ci possono restituire pienamente.

    Ciao Carlo, grazie (e viva Guareschi!).

    G.B.

    Errata corrige: Wittgenstein.

    G.B.

    solo due parole
    ma anche io desidero contribuire in modo sghembo magari
    la tentare mi sembra dovere e mi riferisco a quanti e quali furono o sono stati coloro che con penna ed ora pc
    poesia
    poesia
    sapere cosa sia ed il perchè
    ammalati mentali
    operai
    impiegati
    addetti
    Quasimodo per esempio strano ragioniere
    Montale tanto pompato ma intanto invidiava e poco signore era nel mondo della lirica
    essendo stipendiato dal corsera si credeva anche grande cantante melodrommatico
    non commuoveva la sua voce
    capiva sapeva segliere ma era invidioso
    eppure fu grande poeta
    diversi e quasi sconosciuti-Rocco Scotellaro-fecero anche la fame per posare sentimenti che pane non dettero
    Dopo la Resistenza e pooco prima di nascosto uomini e donne si dettero e non subito furono capiti o amati

    Povertà tanta povertà ci fu
    maestri elementari che gratis insegnavano a suonare il violino e rompere col passato il modo di scrivere

    Negozianti e non pochi prendevano appunti su umili quaderni di carta.
    Lungo ed anche fatto di anonimi è l’elenco di timidi grandi poeti.
    dario.

    mi scuso per battute errate-la fretta è sempre mala consigliera-
    dario sempre frettoloso e non sempre perdonabile,anzi,
    dario.

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