Quando al mattino, mi risvegliati,
gli occhi e le palpebre erano
apiccicati come resina,
e l’acqua mista a sabbia,
fluttuosa sulle ciglia.
La mia bocca arsa e
Gonfia conteneva ghiaia e
Sabbia,
e tutto il corpo infreddolito e seminudo
allungato sulla riva.
Le onde lambivano i piedi
E le caviglie.
La mattina e la nebbia
Non permettevano tregua.
Forse qualche gabbiano ,
penoso , del mio stato,
mi sussurrava qualcosa
nell ‘orecchio.
Sentivo odore di sale e di catrame,
maero vivo ancora.
Ancora quel freddo pungente che mi entrava
Nelle ossa, che fare ora,
se le forze mi avessero
aiutato, mi sarei alzato,
ma non potevo.
Le gambe , pietrificate e legnose,
mi sembravano una spugna intrisa
d’acqua e sale,
quindi ascoltai per qualche
attimo solo il suono delle ondine
che frusciavano sui piedi,
freddi, tanto freddi.
Qualcosa si avvicino’ a me
Ma non fui in grado di distinguere
Cosa, vedevo solo malamente,
delle impronte di gabbiano.
Forse ero ancora io , il Prode,
Ulisse, il forte e il grande,
che ora si ritrovava squamato
e gonfio come un pesce morto,
in un posto a me e ohime’,
sconosciuto e marcio.
Maria Grazia Boccolini