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La lunga neve
e gli odori di montagna
m’indulsero a una
soffusa capanna,
dove respirava e brillava
un fuoco lento,
dove c’era fato autentico.

La lunga neve
e gli odori di montagna
m’indussero
a questa capanna,
ai bruni sapori
di ghiande e di castagne,

al calore dell’autunno
ai muschi e torrenti,
e al richiamo
di falchi solitari;

dove il letargo
mi trattenne più umano.
Dove mi portò il naso.

Carlo Federiconi

One Response to “Come un Oracolo”

    MIA MOGLIE E IL MIO NASO

    – Che fai? – mia moglie mi domandò, vedendomi insolitamente indugiare davanti allo specchio.
    – Niente, – le risposi, – mi guardo qua, dentro il naso, in questa narice. Premendo, avverto un certo dolorino.
    Mia moglie sorrise e disse:
    – Credevo ti guardassi da che parte ti pende.
    Mi voltai come un cane a cui qualcuno avesse pestato la coda:
    – Mi pende? A me? Il naso?
    E mia moglie, placidamente:
    – Ma sì, caro. Guàrdatelo bene: ti pende verso destra.

    Avevo ventotto anni e sempre fin allora ritenuto il mio naso, se non proprio bello, almeno molto decente, come insieme tutte le altre parti della mia persona. Per cui m’era stato facile ammettere e sostenere quel che di solito ammettono e sostengono tutti coloro che non hanno avuto la sciagura di sortire un corpo deforme: che cioè sia da sciocchi invanire per le proprie fattezze. La scoperta improvvisa e inattesa di quel difetto perciò mi stizzì come un immeritato castigo.
    Vide forse mia moglie molto più addentro di me in quella mia stizza e aggiunse subito che, se riposavo nella certezza d’essere in tutto senza mende, me ne levassi pure, perché, come il naso mi pendeva verso destra, così…
    – Che altro?
    Eh, altro! altro! Le mie sopracciglia parevano sugli occhi due accenti circonflessi, ^ ^, le mie orecchie erano attaccate male, una più sporgente dell’altra; e altri difetti…
    – Ancora?
    Eh sì, ancora: nelle mani, al dito mignolo; e nelle gambe (no, storte no!), la destra, un pochino più arcuata dell’altra: verso il ginocchio, un pochino.
    Dopo un attento esame dovetti riconoscere veri tutti questi difetti. E solo allora, scambiando certo per dolore e avvilimento la maraviglia che ne provai subito dopo la stizza, mia moglie per consolarmi m’esortò a non affliggermene poi tanto, ché anche con essi, tutto sommato, rimanevo un bell’uomo.
    Sfido a non irritarsi, ricevendo come generosa concessione ciò che come diritto ci è stato prima negato. Schizzai un velenosissimo “grazie” e, sicuro di non aver motivo né d’addolorarmi né d’avvilirmi, non diedi alcuna importanza a quei lievi difetti, ma una grandissima e straordinaria al fatto che tant’anni ero vissuto senza mai cambiar di naso, sempre con quello, e con quelle sopracciglia e quelle orecchie, quelle mani e quelle gambe; e dovevo aspettare di prender moglie per aver conto che li avevo difettosi.

    (Luigi Pirandello, “Uno, nessuno e centomila” – Libro primo, I [incipit])

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